di Emanuele Barisone
Direttore
Anche quest’anno passeremo un Natale pieno di Erodi in tutto il mondo. Come 2024 anni fa, ci troviamo davanti a uomini che mettono al primo posto il loro ego, la loro ingordigia e la loro malvagità.
Oggi, nel mondo, circa 468 milioni di bambini vivono direttamente, sulla loro pelle, le conseguenze della guerra. A Gaza il 44% dei morti sono bambini, in Sudan 24 milioni di bambini stanno vivendo una “catastrofe generazionale” a causa della guerra, in Ucraina ogni settimana muoiono 16 bambini, in Afghanistan su 10 persone ferite da ordigni esplosivi 8 sono bambini.
Potrei proseguire con dati simili ancora per molte righe. Perché ho voluto ricordarli così precisamente? Perché credo sia necessario interrogarci su quale mondo stiamo lasciando alle generazioni future.
Deve esserci chiaro, oramai, che non viviamo più un tempo di schieramenti, pro o contro una determinata fazione. Solo un no chiaro e netto alla guerra e alla violenza, in tutte le sue forme, è la strada percorribile.
Dobbiamo avere la forza di schierarci con i più deboli. Come Chiesa abbiamo il dovere di affermarlo con convinzione, lo stesso Papa Francesco lo ricorda all’Arena di Pace di Verona (18 maggio 2024): “È proprio il Vangelo che ci dice di metterci dalla parte dei piccoli, dalla parte dei deboli, dalla parte dei dimenticati. Il Vangelo ci dice questo. E Gesù, con il gesto della lavanda dei piedi che sovverte le gerarchie convenzionali, ci dice lo stesso”.
Ma come possiamo costruire un Natale e un futuro di Pace? Per prima cosa dobbiamo mettere da parte i nostri protagonismi, ricordandoci che Gesù nasce in una stalla, tra il bestiame, un bimbo che nasce povero tra i poveri. Nel solco del suo esempio dobbiamo riscoprire la bellezza di considerarci eterni secondi, cioè persone capaci di mettere al primo posto la sorella e il fratello che cammina al nostro fianco.
Sempre Papa Francesco, all’Arena di Pace, ci suggerisce di mettere al centro la comunità attiva, vivace, fraterna. Il mondo sta cambiando intorno a noi, cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di abitare questo spazio: una comunità che si prende cura di una casa comune.
È quindi importante farsi carico delle persone dimenticate perché, solo se stiamo bene tutti, la comunità può vivere meglio. Dobbiamo riconoscerci tutti come persone, ricche di dignità, con i nostri talenti e mancanze; vogliamo recuperare quel senso di appartenenza a un’unica fraternità, dove la persona fiorisce nell’accettazione e composizione delle differenze, nella ricchezza di relazioni fra persone.
È l’impegno che ci assumiamo, ogni giorno, in Fondazione Auxilium e nella rete di enti, persone, volontari, operatori sociali, educatori che collabora con noi.
Non suoni fuori scala né forzato il riferimento ad Auxilium nel quadro di questa riflessione sulla brutalità nel mondo. Non si tratta solo di fermare le ostilità e le morti che causano – e sarebbe già tanto; ci manca, lo avvertiamo tutti, molto di più: una società che poggi la sua esistenza e il suo futuro sulla costruzione della pace, sulla scelta dell’altro come opzione preferenziale, a cominciare dal più piccolo, povero, scartato.
Le azioni di pace sono nostra responsabilità, di ciascuno di noi e tutti insieme. Auxilium, insieme a tante altre realtà ecclesiali e di Terzo settore, rappresenta un luogo aperto e possibile a tutti per costruire insieme la nostra quotidiana città di pace.
Auguro a tutti noi di costruire insieme un Natale e un futuro di Pace per le nuove generazioni, consapevoli che il nostro sforzo non è per noi, in quanto “siamo profeti di un futuro che non ci appartiene”.